L’importanza della “connessione” per aiutare le persone che amiamo nella malattia e nella morte

Testo tratto dalla trasmissione orale di “Vivere con gioia, morire in pace” di Tenzin Wangyal Rinpoche.

ll seguente testo è la mia traduzione dall’inglese di un estratto dell’insegnamento di Tenzin Wangyal Rinpoche, tratto dalla trasmissione orale di “Vivere con gioia, morire in pace“, nella sessione dedicata a come possiamo aiutare al meglio le persone che amiamo e che ci sono vicine permettendo loro di vivere nel migliore dei modi l’esperienza della sofferenza e del dolore, durante la malattia o quando per accompagnarle nel bardo (stato intermedio della mente durante il processo di morte).

Questo tema sta alla base dell’educazione spirituale buddhista tibetana, ovvero quello di praticare la compassione, di mettere da parte il proprio ego per poter aiutare veramente il prossimo a stare bene, ed è anche uno dei fulcri della mia personale filosofia di vita.
Augurandomi che possano leggerlo molti operatori del campo medico e del benessere, dedico a tutti questo meraviglioso insegnamento di vita, che ricevere mi ha riempito di gioia e gratitudine.

Alexander Pincin
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“[..] Una delle cose che spesso mi ritorna nella mia mente è il ricordo di quando mia madre è morta. Accadde molto velocemente e non fui in grado di fare molto, e desiderai molto essere disponibile a fare qualcosa per aiutarla, quindi sono consapevole di quanto sia importante per ognuno di noi essere disponibili ad aiutare in quei momenti difficili. Mi riferisco a quando qualcuno sta invecchiando, è malato, o sta morendo ed è importante non essere egoisti. Per esempio ci sono molte storie collettive di conflitti in famiglia, i figli contro i genitori o viceversa, legate al dolore in famiglia causato da vicissitudini del passato, ma quando arriva quel momento, della malattia o della morte, dobbiamo imparare a lasciare andare. Perchè, quando cominciamo una terapia per curarci abbiamo chiaro bisogno d’amore, spazio, quindi diventa molto importante lasciar andare quel tipo di questioni. Quelli sono momenti in cui vuoi veramente essere lì, disponibile ad aiutare, ed è quindi altrettanto importante non coinvolgere il tuo ego.

In quel momento non c’è altra soluzione. Per esempio, quanti affermano: “Io sono qui per aiutarti, ma tu non mi stai ascoltando !”. Come molte altre persone che invece affermano cose di questo tipo: “Ti sto aiutando, tu hai bisogno di me, devi ascoltarmi!”, dove c’è una definizione del ruolo e del controllo della posizione: Io aiuto te che sei malato e tu ricevi il mio aiuto perchè ne hai bisogno. Ma quando desideri aiutare davvero qualcuno, la cosa più importante sta proprio nel lasciare andare quell’IO. La questione fondamentale è trovare la connessione. Sei connesso con la persona che vuoi aiutare?
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Non faccio riferimento a cosa vuoi fare con la persona malata, come fargli prendere il farmaco in tempo o dirgli di andare a riposare, o dirgli di fare qualcosa. No, non sto dicendo questo, ma sto dicendo: sei connesso con quella persona? senti la connessione con la persona che sta male? Lei è connessa con te? sei consapevole del fatto che ci sia o meno la connessione tra di voi in quel momento?  o no ?
Se la connessione non c’è, non ha importanza cosa farai o cos’hai intenzione di fare. Non sarà molto rilevante Non ha una grande importanza. La cosa più importante è renderti conto se sei connesso con la persona malata che ha realmente bisogno di una mano. Si tratta di una domanda da porsi molto interessante, vero?

La connessione non ha a che fare necessariamente con il fatto di dover fare qualcosa, essere connesso non significa “fare”. A volte puoi avere un modello di pensiero legato al fatto che devi fare qualcosa, oppure che devi dire cosa fare, oppure che la persona che sta male deve ascoltarti. Ma devi tagliare con tutti questi modelli per poter aiutare quella persona, e forse in quella particolare situazione hai bisogno d’imparare a stare calmo, quiete, come se stessi meditando sul fatto che vuoi cercare di aiutare quella persona.
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Semplicemente sii lì, presente, consapevole. Sii chiaro nella tua mente, in modo da poter vedere cosa c’è bisogno di fare in quel momento. Ascolta, senti il calore della connessione con la persona malata. Ciò di cui necessita quella persona lo sentirai in quel preciso istante. In questo modo ti metterai in condizione di ascoltare, accogliere l’altra persona in modo migliore.

Quando senti meglio, vedi meglio, e la decisione legata a come agire verrà spontanea, diventando facile percepire cosa fare. Come ho già detto, è possibile che qualche volta c’è da fare qualcosa, e altre volte non si dovrebbe fare nulla. Magari in quel preciso momento, quella persona ha semplicemente bisogno della tua presenza. Non ha bisogno di nulla, magari solo di tenerti la mano. Spesso negli insegnamenti parliamo della pura presenza, pura connessione, perchè? Perchè attraverso di essa, puoi trasmettere tantissime cose, così la persona può sentire che ti stai prendendo cura di lei, che la ami, che sei presente, in uno stato che “di qualsiasi cosa avrai bisogno di ricevere sono qui per te”, senza usare le parole, senza pensieri.

In quel momento la persona malata potrà ricevere tutto ciò cui ha bisogno, semplicemente perchè sente che la tua presenza è lì al suo fianco, disponibile.
Tuttavia se non c’è connessione, qualsiasi cosa farai sarà vana. La cosa più importante è essere consapevole di essere connesso. Perciò, la connessione è l’aiuto più grande che possiamo offrire ad una persona malata.

Attraverso la connessione qualsiasi cosa farai sarà di grande aiuto, ma invero ciò non sarà possibile senza la connessione. Per esempio, pensa nell’ultimo periodo della tua vita, quand’è successo che hai tentato d’essere d’aiuto ad un familiare o ad un collega di lavoro, o qualcun altro, in una situazione dove hai fatto esperienza di un contrasto nel tentativo di aiutare qualcuno. Per esempio qualcuno che sta invecchiando, che è malato, che sta morendo o che necessita di un tuo aiuto, ma dove c’è stata difficoltà ad aiutarla senza riuscirci. Lo so, probabilmente, capitano a tutti situazioni come queste. Riflettici. Dove c’è stata la difficoltà? Puoi vedere la mancanza di connessione? Ecco il contrasto, non è perchè hai sbagliato la cosa che hai fatto, magari hai avuto una grande idea, e volevi fare una cosa meravigliosa, ma quella cosa proveniva dall’ego, dall’aspettativa, dal fatto di controllare i ruoli: “io aiuto te”, e non proviene da quel grande spazio, da quel grande sacro spazio creato dalla connessione.
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Il punto d’osservazione che hai avuto per guardare quella persona, non l’hai fatto da quel grande spazio aperto, ma dalla frustrazione, con aspettative, non sei stato cosciente e consapevole dell’importanza della connessione, non sei stato magari neanche consapevole che la connessione è necessaria per poter aiutare, e perciò non hai compreso cosa è accaduto in quel momento, durante quel contrasto.

Faccio sempre quest’esempio: quando stai meditando profondamente prova a visualizzare di essere un bambino nel caloroso grembo di una madre amorevole, e perchè quest’esempio è importante? Perchè in quel momento c’è una connessione tra il figlio e  la madre, trattasi di una genuina connessione tra madre e figlio, e ogni cosa, ogni genere di comunicazione sia energetica che biologica, in ogni cellula, emozione, tutti i tipi di comunicazione accadono attraverso quella connessione, e se tale connessione venisse tagliata allora non vi sarebbe relazione. Grazie a quella connessione il figlio si sente amato, protetto, sente la cura della madre, si sente al sicuro, comodo, e potremmo continuare con una lunga lista di cose che accadono spontaneamente grazie a quello stato di connessione come un’unica esperienza di unità.

In quell’immagine, il figlio e la madre non stanno parlando, non si stanno dicendo: “senti la mia connessione?”, “senti il mio amore?”,  “io ti sto mandando amore a te! lo senti?”, “quanto veloce lo stai sentendo?”, oppure dicendo: “sicuramente lo stai ricevendo rapidamente perchè te lo sto dando IO.” No, quando c’è connessione non c’è alcun pensiero del genere, non c’è nessuna negoziazione, non c’è alcuna domanda o intento a dare qualcosa, ma semplicemente tutto accade senza alcuno sforzo, naturalmente, ed è un’incredibile e magica esperienza.
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Tutto proviene da questa semplice e pura connessione, e dobbiamo credere, avere fiducia, e conoscere quanto potente può essere la connessione in sè stessa, senza cercare di fare qualcosa. Infatti molte volte quando cerchi di fare, dire o decidere qualcosa,  è molto probabile che non vi sia connessione. Quindi, come praticanti, ciò che possiamo tentare di fare è sempre essere sicuri e quindi porsi questo quesito: da dove proviene questo pensiero? proviene da questo spazio, silenzio o calore, oppure proviene dal mio corpo del dolore? dalla mia parola del dolore? dalla mia mente del dolore? o dalle collettive storie della mia famiglia legate al dolore? Magari dal dolore della mia infanzia.

Per esempio, i genitori cercano di dire tante cose ai propri figli e loro non ascoltano, quindi adesso che stanno male diventa il tuo turno di non ascoltarli, e questo è l’esempio di una relazione karmica. La frase “Ora è il mio turno di non ascoltare te” Da dove proviene? Credo sia molto importante riflettere su questo punto.

Ora provate per un momento ad immedesimarvi nella persona malata. Voi diventate quella persona che ha bisogno di aiuto, e provate a sentire cosa provate guardando voi stessi all’esterno che volete aiutarvi. Siete aperti? siete consapevoli? sentite il calore?
Solo in questo modo sarete in grado di vedere meglio, di sentire l’empatia.
Come si sente la persona malata? Di cosa può avere bisogno realmente?
Cercate di andare al di là della vostra idea precostruita, e realizzare che livello di connessione senti o meno, in modo da sentire con chiarezza come puoi aiutare.

1422451_773738512756143_8753175341962523850_nQuando siamo nella posizione di aiutare qualcuno, credo sia molto importante cercare di essere calmo, presente, silenzioso, ascoltare, aprire te stesso all’altra persona, fare spazio per cercare di sentire e ascoltare meglio piuttosto che pensare a fare qualcosa. Sennò hai sempre un piano, a volte addirittura una settimana prima, ed è tutto programmato sul come e quando aiutare quella persona. Non ascoltiamo la persona malata e gli diciamo: “Non dirmi cosa devo fare, perchè ho già programmato tutto!”
Magari hai già comprato la cosa che pensi la persona abbia bisogno di ricevere. Ma tutta questa situazione ha a che fare con te, e non vuoi cambiare quel programma. In questo modo sempre ogni cosa ha a che fare con te, con il tuo ego. E quando vai dalla persona malata, sei già pronto a raccontare ogni cosa: “sono andato al negozio, ho comprato questo, ho preso la decisione, ho programmato tutto, ho fatto quest’altra cosa molto bene, ho perfettamente organizzato tutto per te, e ovviamente mi devi ascoltare, perchè io ho lavorato un mese intero per fare questa cosa per te”.

Per molti di noi è spesso normale pensare in questo modo, vero? E non comprendiamo che non è quella la strada da seguire per aiutare qualcuno. Perchè lì non c’è alcun senso di apertura, di spazio, di ascolto. Per esempio, noi compriamo qualcosa per qualcuno, e quest’ultima ci dice che non gli piace, noi sentiamo dolore, e pensiamo: “ho passato tutto quel tempo a scegliere quel prodotto al negozio per te ed ora tu lo stai rifiutando. Mi fa male.” Ed ora hai bisogno tu di aiuto, giusto? Molto ironico.
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Per esempio mi ricordo di un episodio in cui c’ero anche io. C’era una donna malata, molto debole, sdraiata su un letto a terra, ed intorno a noi un gruppo di persone. Mi ha chiamato per starle vicino ed aiutarla a mangiare, e nonostante la debolezza notavo la sua chiarezza mentale, giocava col cucchiaio, e sorrideva, ma le persone intorno a lei rimanevano gelide. A causa della mancata connessione che quelle persone avevano, rimanendo gelide, senza essere in grado di sentire il suo calore avrebbero probabilmente potuto impedire a quella donna malata di permanere in quello stato di gioia e calore, anche nel malessere. In quella situazione è molto meglio stare lontani dalla signora anziana piuttosto che starle vicino, in quanto a causa di quello stato di disconnessione invece di aiutarla si rischia di disturbarla, in quanto debole e malata. Ed anche per questo motivo, al momento della morte molte persone necessitano e chiedono di stare da sole, oppure di avere accanto solo le persone giuste. Rifletteteci. Comprendere questo punto è molto importante.

Mi auguro che allenandovi ad osservare la realtà da punti di vista diversi, cambiando la vostra posizione, tra chi ha bisogno di aiuto e chi deve fornirlo, in modo tale da fare esperienza di genuina compassione. In modo da essere in grado di vedere con maggior chiarezza e poter aiutare davvero chi ne ha bisogno. [..]”

– Geshe Tenzin Wangyal Rinpoche, tratto dal corso semestrale “Living With Joy, Dying in Peace” (10/09/2016 – 15/03/2017)